Funerali dell’antimafia
di Diego Gavini
Il 2 luglio 1963, in seguito alla strage di Ciaculli e alla morte di sette uomini delle forze dell’ordine (30 giugno), vengono celebrati i primi funerali di Stato riservati a vittime di mafia. In un’Italia dove il discorso sul fenomeno mafioso è portato avanti solo da minoranze politiche e sociali, a fronte di una popolazione abituata alla narrazione della mafia quale comportamento arcaico e residuale, la bomba di Ciaculli ha l’effetto di mostrare un’altra realtà. “Ora non si ammazzano più fra di loro”, scrive Franco Nasi, giornalista de Il Giorno, mostrando lo spaesamento vissuto dall’opinione pubblica. In questo clima, Palermo si riversa a celebrare i sette caduti: le cronache dei giornali parlano di una folla di decine di migliaia di persone che segue il corteo funebre che si snoda nella città partendo dalla cattedrale normanna. Lo Stato si presenta alle esequie con i suoi massimi rappresentanti, con in testa il ministro dell’Interno Mariano Rumor, e l’autorevolezza di poter rappresentare la comunità colpita. Sono gli anni che vedono l’avvio del centro-sinistra, che porta con sé l’istituzione della prima Commissione parlamentare antimafia; le stesse forze dell’ordine, nel giro di poche ore dalla strage danno l’avvio a massicce retate che colpiscono anche capimafia di primo livello.
Il carattere episodico dei funerali di Stato per vittime di mafia (dopo la strage di Ciaculli, nuove esequie di Stato si svolgeranno per il procuratore Pietro Scaglione nel maggio 1971), lascerà spazio alla drammatica sequenza del 1979-1992, già preconizzata dall’omicidio del colonnello Giuseppe Russo nel 1977, in cui l’ascesa della fazione dei corleonesi in seno a Cosa nostra si accompagna al dispiegarsi di una strategia terroristica nei confronti degli uomini delle istituzioni più attivi sul fronte della lotta alle cosche.
È tale sequenza a offrire una prospettiva per individuare le modalità con cui il culto delle vittime di mafia penetra nel sentire comune, mostrando le dinamiche che si instaurano nei rapporti fra la popolazione, la comunità dei famigliari dei caduti e la rappresentanza politico-istituzionale. Accanto a un succedersi apparentemente uguale di camere ardenti, cortei funebri, applausi rivolti alle bare, presenza dei vertici delle istituzioni e commemorazioni dal pulpito, ciò che in realtà si palesa sono il il lacerarsi del tessuto sociale e il deteriorarsi della mediazione politica che segnano la crisi della prima Repubblica, il tutto amplificato dall’emotività suscitata dalla violenza mafiosa.
Le uccisioni di Michele Reina, Boris Giuliano e Cesare Terranova nel 1979, di Piersanti Mattarella, Emanuele Basile e Gaetano Costa nel 1980, di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa nel 1982, di Giangiacomo Montalto e Rocco Chinnici nel 1983, segnano la prima fase dell’assalto allo Stato da parte delle cosche. Il luogo simbolo del rapido succedersi di commemorazioni funebri diventa la cattedrale di Palermo, i volti-chiave quelli del cardinale Pappalardo e del presidente Sandro Pertini: significativamente, durante le esequie del giudice Chinnici, il presule si rivolgerà direttamente ad un Pertini che non riesce a trattenere le lacrime, chiamandolo “doloroso pellegrino”. I due rappresenteranno i punti di riferimento della comunità locale e di quella comunità di parenti delle vittime che andrà allargandosi e riconoscendosi uguale a se stessa, unita dal tributo di sangue. Il loro ruolo è centrale in quello che rappresenta il momento più critico, per le ricadute nella percezione pubblica, di questa catena di delitti e di commemorazioni, ovvero l’assassinio di Dalla Chiesa e della moglie Emanuela, con i funerali rapidamente celebrati il 4 settembre a neanche ventiquattro ore dalla morte. Pappalardo, dando voce ad un sentimento comune, reciterà la celebre omelia in cui, parafrasando Tito Livio, Palermo viene paragonata alla Sagunto abbandonata da Roma; Pertini, dal canto suo, si ergerà a simbolo dell’unità nazionale, unico applaudito da una folla che per la prima volta contesterà apertamente i rappresentanti del governo, così come, sin dalla camera ardente, faranno i famigliari dei Dalla Chiesa. A contribuire a questo clima, che per molti versi anticipa quanto accadrà dopo le morti di Falcone e Borsellino, vi è il formarsi di un nuovo attivismo antimafia che fuoriesce dai tradizionali confini politici e che trova nel generale caduto un simbolo in grado di travalicare i confini regionali, facendo drammaticamente emergere il carattere nazionale della questione mafiosa. Ma non solo: quella che si profila è la rottura più profonda che porterà alla fine della prima Repubblica. Nel lancio di monetine contro il ministro dell’Interno, Virginio Rognoni, prendono corpo comportamenti pubblici che scandiranno poi le fasi più significative della crisi del 1992-1993.
Dopo la strage in cui trova la morte Rocco Chinnici, la sequenza di delitti eccellenti acquista un tratto meno sistematico, seppur non meno spietato. Funerali di Stato vengono riservati nel 1985 a Beppe Montana e Roberto Antiochia (la famiglia di Ninnì Cassarà, vittima designata dell’agguato in cui trovò la morte lo stesso Antiochia, rifiuterà i funerali di Stato), nel 1988 ad Antonino Saetta, nel 1990 a Rosario Livatino e nel 1991 a Libero Grassi. Sono gli anni della presidenza di Francesco Cossiga, presente a tutte le esequie, spesso applaudito. Sono soprattutto gli anni della “primavera” di Palermo e dei risultati ottenuti dal pool antimafia e questa atmosfera si riflette sull’andamento delle cerimonie, dove si perdono parzialmente le tensioni registrate in particolare dopo l’omicidio Dalla Chiesa.
Tutto cambia con le stragi in cui moriranno Falcone, la moglie Francesca Morvillo, Borsellino e i rispettivi agenti di scorta. Il tritolo di Capaci fa collassare simbolicamente l’Italia della prima Repubblica, colta in un pericoloso vuoto di potere con il Parlamento incapace di sciogliere il nodo dell’elezione presidenziale. Lo scenario bellico dell’autostrada devastata entra nelle case degli italiani nelle drammatiche riprese delle edizioni straordinarie dei telegiornali; Falcone, in vita simbolo di un’antimafia assediata da più parti, diventa in un istante martire ed eroe nazionale. Lo svolgimento dei funerali si trasforma in una grande manifestazione di lutto collettivo, la cui emotività sarà riassunta emblematicamente dal pianto e dalla parole dal pulpito di Rosaria Costa, giovanissima vedova dell’agente Vito Schifani. Lo shock nazionale, non ancora assorbito, verrà rivissuto a neanche due mesi di distanza con via d’Amelio, accelerando ed esasperando le dinamiche già in corso. Durante le esequie per gli agenti della scorta di Borsellino, celebrate il 21 luglio (i funerali del magistrato si svolgeranno invece in forma privata per volontà della famiglia il 24 luglio), vedranno la folla, tenuta distante dalla cattedrale, travolgere il cordone delle forze dell’ordine ed assediare i politici presenti, al grido di: “fuori la mafia dallo Stato”. Il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, eletto nelle ore successive alla strage di Capaci, verrà contestato apertamente e duramente, nel corso di drammatici momenti di tensione, non riuscendo più a rappresentare quel ruolo di collante che prima di lui Cossiga e in particolare Pertini avevano svolto. Le immagini dei cittadini palermitani che assediano i rappresentanti delle istituzioni verranno più avanti riprese in molte rappresentazioni televisive e cinematografiche, entrando direttamente nell’immaginario collettivo.
A vent’anni dagli attentati del 1992, superata la fase più critica del conflitto Stato-mafia, i funerali di Stato verranno recuperati in chiave simbolica. Nel maggio 2012 il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si reca in Sicilia compiendo un itinerario particolarmente significativo in quanto a intensità simbolica. Nell’arco di due giorni (23 e 24 maggio), Napolitano partecipa alla commemorazione per il ventennale delle stragi in cui perirono Falcone e Borsellino, si reca sulla piana di Portella della Ginestra ricordando la strage del primo maggio 1947 (primo presidente della Repubblica a compiere questo gesto) e presenzia, infine, ai funerali di Stato riservati al sindacalista corleonese Placido Rizzotto, in seguito al ritrovamento dei suoi resti a sessantaquattro anni dalla scomparsa.
Connettendo simbolicamente gli omicidi del secondo dopoguerra con il periodo stragista, Napolitano compie un’operazione di pacificazione e di recupero della memoria storica, conducendo le diverse stagioni di contrasto alla mafia ad un unico solco. In questa occasione, i funerali di Stato assolvono una funzione rituale simbolica rilevante: è con essi e attraverso il corpo di Rizzotto che si recupera una stagione a lungo esclusa da una narrazione condivisa nella comunità nazionale e si celebra la “Resistenza del Sud”, conducendo dunque i valori dell’antimafia fra quelli fondativi dell’etica repubblicana collocandoli accanto a quelli dell’antifascismo.
Bibliografia
- De Luna Giovanni, La Repubblica del dolore. Le memoria di un’Italia divisa, Feltrinelli, Milano, 2011.
- Puccio-Den Deborah, Victimes, héros ou martyrs? Les juges antimafia, in «Terrain», 51, 2008.
- Ravveduto Marcello, La religione dell’antimafia. Vittime, eroi, martiri e patrioti della resistenza civile, in Id. (a cura di), Strozzateci tutti, Aliberti, Roma, 2010.
- Santino Umberto, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma, 2000.
- Schneider Jane, Schneider Peter, Un destino reversibile. Mafia, antimafia e società civile a Palermo, Viella, Roma, 2009.