Curatore: Viviana Raciti

Locandina La gatta di pezza, 2008, © Compagnia di Franco Scaldati, Archivio privato Scaldati
La gatta di pezza di Viviana Raciti
La gatta di pezza, il cui titolo nelle primissime stesure del 2004 e 2005[1] è Notte Palermitana, affonda le sue radici nei bassifondi palermitani, nella violenza familiare che però riesce sempre a sublimarsi e raggiungere quella dimora poetica appartenente a tutti i testi scaldatiani. Racconta Melino Imparato[2] che l’idea di questo testo venne in mente a Scaldati ascoltando le numerose urla di una famiglia che abitava accanto la loro sala prove al Centro Sociale San Saverio all’Albergheria: quel marito, ubriaco, violento spargitore di sangue e capace di apostrofare chiunque volgarmente, è il primo seme di Benito. Nella famiglia di cui è a capo – composta da moglie, cognato omosessuale, suocera e una figlia demente, muta – ciascuno spera ardentemente che possa esser fatto fuori durante la notte. Del resto, un morto (Totuccio, usuraio la cui anima è imprigionata da odio e tormento) chiama a raccolta i morti per celebrare riti oscuri e apre e chiude il dramma così dicendo: N’oper’incompiuta è a’ natura umana; ricinu ca’ / abiss’a natura umana, perversi pensier’i sangu guidanu i passi/ i manu; guvernanu i cuori.
In quel periodo sui giornali si parlava di casi di pedofilia, di padri che violentavano i propri figli, ma il teatro non è il luogo dove riprodurre testualmente la realtà; quel livello di superficie…
ne nasconde un altro, la verità storica diventa il pretesto e viene capovolta per assurgere a una dimensione più ampia. In questa notte terribile, ambientata nell’immediato dopoguerra, non sarà tanto il sacrificio dell’innocente, Aurora, che offrendosi al carnefice riuscirà a finirlo liberando tutti gli abitanti della casa dalla sua concreta oppressione, quanto la forza della sua poesia – capace di venir fuori nel sogno, soltanto quando nessuno è in grado di ascoltarla, a rinfrancare la vita eliminando la parte più cruenta. L’unica a poter rispondere alla chiamata divina, che è voce senza nome né corpo, per svolgere il compito più ingrato, è questa inconsapevole creatura, divin’aurora che potrà aiutar’a scinnir’i sta/cruci.. [3]. Aurora, muta come la Kattrin di Madre Courage[4], come lei potrà salvare i cari solo con la propria voce; come Ofelia (effettivamente citata in battuta a p. 46 con il riferimento ossessivo del quadro di Millais, derivante a sua volta dall’inedito Ofelia è una dolce pupa tra i cuscini), compirà il suo sacrificio, e il prezzo da pagare sarà il “sacro fatale delirio”, la perdita dei propri appigli e cioè di quella gatta di pezza che dà il titolo al testo e che ha trovato posto sempre solo stretta al suo petto. Ma Aurora nella sua purezza è la natura stessa: … nne so’ infinite forme ànnu dipint’a natura.. /nne so’ momenti crudeli, nne so’ dolci /attimi/ ànnu musu ‘n’mostra tutt’ ‘i me’/ ritratti; immobil’emozioni, pensier’atroci.. tuttu è/ concess’a me’ arte ammaliante; attenti,/ attenti/ attenti. [5]
Alle coordinate spaziali (presenti non solo in didascalia) fanno eco quelle temporali: un dopoguerra pieno di macerie (i vari “sdirrubbati”, ovvero i palazzi distrutti dalle bombe, ma anche il ricordo del giocatore del Palermo, Sukrù) di morti e di americani che passano sotto banco sigarette (le palermizzate “Luk Strak”) e sui quali investire il traffico di prostituzione; la speranza è riposta nei “comuniste”[6], nella foto di Salvatore Giuliano apparso sul quotidiano l’Ora[7] in occasione della strage di Portella della Ginestra. La lingua di Benito, che è Scaldati e il suo contrario, un piccolo malvivente perso nei suoi pensieri, la cui parlata è strascinata e allungata nelle vocali storpiate (manciaamu[8], cugnietu[9]) è turpiloquio, lingua piena di insulti sessuali (per Benito tutti sono buoni solo per fare fellatio), intrisa di sangue, di espressioni cruente – arrus’e me’ma[10]; s’ ‘am’a ghinchiri i vacili [11] (di sangue); pariddat’e sticchiu[12] –. Benito, il cui nome non rimanda a Mussolini, come precisa più volte l’autore nelle interviste in occasione della prima a Scandicci, non può non rimandare all’estremismo di Mussolini, alla sua vocazione dittatoriale, al desiderio da parte degli altri componenti della famiglia che venga fatto fuori dagli “amici”. A queste espressioni cruente si alternano invece commenti che ruotano attorno alla tavola (citata ad esempio la bustina con cui si preparava un surrogato d’aranciata, anche questa “meraviglia” del progresso), all’imminente uscire di Vittorè (che scambia biancheria, burro cacao, specchi e gonne con la sorella); interrompono l’orror e ma nello stesso tempo lo legittimano come quotidiano V.- Aurora, ‘arrivar’ ‘amiricani; e vo’venir’ a far’a vita…/R.- ..ramm’u piattu[13]. La situazione sembra non evolversi mai, immobile nei rapporti violenti alternati ai riti di purificazione compiuti sulla figliastra demente, Aurora. Per tutti lei assume connotazioni sacrali, una santa da idolatrare, a cui inviare lettere che però finisce per cadere sottomessa al desiderio del patrigno. Eppure, è proprio in questa concessione che assume tutti i connotati del sacrificio che Aurora realizzerà il desiderio di tutti, accecando e poi uccidendo Benito. Il mezzo è il simbolo della sua purezza, quella gatta di pezza compagna eterna della ragazza. In uno dei continui abbassamenti di luce, sembrerà essere proprio opera sua l’accecamento. Si presagisce un cambiamento in positivo, tuttavia vale il paradigma gattopardiano, tutto deve cambiare affinché nulla cambi. Morto il padrone, non viene meno l’atteggiamento, e il potere decisionale, l’attività da usuraio e consigiere passa a Rosa, la madre, E. scantu / R. ah…/ e ora… / com’è… E. ora è tutt’a postu… R. buonu…
La gatta di pezza
di Franco Scaldati
con Virginia Alba, Serena Barone, Massimiliano Carollo, Domenico Di Stefano Dario Enea, Egle Mazzamuto, Fabio Palma, Salvatore Pizzillo, Rosario Sammarco, Franco Scaldati
regia a quattro mani di Franco Scaldati e Matteo Bavera
scene e costumi di Mela Dell’Erba
personaggi Benito,Vito, Vittorè, Rosa, Emma, Aurora, Aurelio, Enzo, Totuccio, Eduardo
11-12 gennaio 2008 presso il Teatro Studio di Scandicci (Prima Nazionale)
[1] L’opera teatrale è stata pubblicata nel 2008 da Ubulibri, con una prefazione redatta da Franco Quadri e presentata in concomitanza con la prima presso il Teatro Studio di Scandicci (FI).
[2] Conversazione privata, dicembre 2014
[3] F. Scaldati, La gatta di pezza, Ubulibri, Milano, 2008, p. 79
[4] Cfr B. Brecht, Madre Coraggio e i suoi figli, Torino, Einaudi 2007.
[5] F. Scaldati, La gatta di pezza, cit. p. 65.
[6] Ivi, p. 31.
[7] Ivi, p. 48.
[8] Ivi, p. 31.
[9] Ivi, p. 36.
[10] Ivi, p. 20 mentre “arruso” utilizzato al maschile indica l’omosessuale, al femminile indica, se possibile, il dispregiativo della prostituta. Ringrazio Melino Imparato per la precisazione.
[11] Ivi, p. 23.
[12] Ibidem.
[13] Ivi, p. 49.
Materiali
- L’anima nella camera degli orrori di Franco Scaldati e Matteo Bavera
- Se dall’orrore germina la poesia di Franco Quadri
- Il dopoguerra palermitano dell’umanità di Scaldati. Teatro. Al Garibaldo La gatta di pezza, il suo testo più recente di Simonetta Trovato
- L’ultimo Scaldati – Io, padre violento tra sesso e degrado – di Laura Nobile
- La gatta di pezza di Franco Scaldati di Tommaso Chimenti
- Realismo poetico e leggerezza della Gatta di pezza di Roberto Incerti
- Scaldati, il sesso come persecuzione di Rodolfo Di Giammarco
- Una gatta di pezza nel tunnel degli orrori. A Scandicci il testo choc di Franco Scaldati su un brutale padre padrone di Gabriele Rizza
La gatta di pezza, riprese inedite dello spettacolo, 2008, © Compagnia Franco Scaldati, Regia a quattro mani di F. Scaldati e M. Bavera, con V. Alba, S. Barone, M. Carollo, D. Di Stefano, D. Enea, E. Mazzamuto, F. Palma, S.Pizzillo, R. Sammarco, F. Scaldati. Scene e costumi di M. Dell’Erba, Digitalizzazione a cura di Associazione Lumpen, 2015.
Per saperne di più:
- A. Bisicchia, Teatro e Mafia. 1861 -2011, Editrice San Raffaele, Milano, 2011.
- A. Cavadi, Il dio dei mafiosi, San Paolo, Cinisiello Balsamo, (MI), 2009.
- T. Chimenti, s.t., recensione de La gatta di pezza, «scanner.it», gennaio 2008.
- A. Dino, La mafia devota: Chiesa, Religione, Cosa Nostra, Laterza, Roma-Bari, 2010.
- R. Di Giammarco, Scaldati, il sesso come prosecuzione, «la Repubblica», 14 gennaio 2008.
- R. Giambrone, Per un teatro dei luoghi. Dichiarazioni di Franco Scaldati, in F. Scaldati, R. Giambrone (a cura di) Teatro all’Albergheria, Ubulibri, Milano, 2009, pp. 14-17.
- R. Incerti, Realismo poetico e leggerezza della Gatta di pezza, «la Repubblica», 11 gennaio 2008.S. Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma, 1993.
- L. Nobile, L’ultimo Scaldati “Io, padre violento tra sesso e degrado”, «la Repubblica», 8 settembre 2005.
- F. Quadri, Se dall’orrore germina la poesia, in F. Scaldati, La gatta di pezza, Ubulibri, Milano, 2009.
- G. Rizza, Una gatta di pezza nel tunnel degli orrori, «Il Tirreno», 11 gennaio 2008.
- F. Scaldati, La gatta di pezza, Ubulibri, Milano, 2009.
- F. Scaldati, R. Giambrone (a cura di), Teatro dell’Albergheria, Ubulibri, Milano2009.
- S. Trovato, Il dopoguerra palermitano dell’umanità di Scaldati, «Giornale di Sicilia», 1 novembre 2006.